Il Maestro e Margherita

Come iniziare una riflessione, per quanto minima e limitata, su uno dei libri più belli e complessi della storia della letteratura? Ci sono.

Scusi, non ci credo replicò Woland. Non è possibile: i manoscritti non bruciano.

Siamo negli anni ’30 a Mosca, in un piccolo appartamento della Sadovaja. Dentro, un uomo sta bruciando nella stufa del suo salotto un manoscritto. Quell’uomo è Michail Afanas’evič Bulgakov, nato a Kiev nel 1891 da un’agiata famiglia ortodossa. Prima di divenire uno scrittore, Michail fu un medico e lavorò al fronte per diverso tempo durante la guerra civile russa (1917 - 1922), schierato con le armate bianche, controrivoluzionarie. Dopo la fondazione dell’ URSS decise di non fuggire all’estero come tutta la sua famiglia aveva fatto, ma di trasferirsi a Mosca e di diventare uno scrittore di prosa e teatro. La censura però divenne sempre più pesante con l’arrivo al potere del burocrate Stalin e le opere di Michail vennero più volte ostacolate prima della pubblicazione. Ed eccoci ritornare al piccolo appartamento della Sadovaja. Bulgakov, dopo l’ennesimo ostacolo editoriale, dà alle fiamme, in un momento di disperazione, il manoscritto contenente quello che poi sarà il suo più grande capolavoro: Il Maestro e Margherita.

ritratto di Michail Afanas’evič Bulgakov

Sicuramente questo episodio della vita del nostro scrittore del mese vi ricorderà la vicenda del Maestro, alle prese con il suo romanzo su Ponzio Pilato (Il Maestro e Margherita). Purtroppo però non si presenterà anche a Michail un gatto parlante satanico pronto a ridargli indietro il suo romanzo con la frase, divenuta poi iconica i manoscritti non bruciano. Dovrà Bulgakov, a differenza del Maestro, lavorare le sudate carte, per riscrivere, basandosi solo sulla sua memoria, quella storia che ha cambiato la vita a molti di noi (e sarà un lavoro di non pochi anni e fatiche).

Il gatto balzò in piedi e tutti poterono vedere che se ne stava seduto su un grosso pacco di manoscritti. Con un inchino, porse a Woland la copia che stava sopra le altre. Margherita cominciò a tremare ed emozionata fino alle lacrime gridò: Ecco il manoscritto, eccolo!

Il motivo per cui il potere sovietico si rifiutò fino agli anni ‘60 di pubblicare questo libro appare evidente. La satira nei confronti del partito è, infatti, uno dei centri del romanzo. Durissima è la critica a Mosca, alla rivoluzione, ma soprattutto al clima culturale di ossequioso rispetto delle regole imposte dal regime. Alla berlina viene messo il mondo del teatro, che Bulgakov conosceva più che bene, e quello della letteratura. Come non citare, in questo senso, il primo capitolo del romanzo, Non parlare mai con gli sconosciuti, dove si racconta di un giovane scrittore al quale viene imposto di dimostrare, nella sua opera, che Gesù non è mai esistito (come voleva propagandare la politica atea sovietica). Meno presente è invece la critica diretta a Stalin, che non viene mai nominato ma di cui si sente la pesante presenza.

Perdonino la mia invadenza, ma, se ho capito bene, loro oltre a tutto non credono neppure in Dio. Fece due occhi spaventatati e aggiunse: Non lo dirò a nessuno, parola d’onore!. No, noi non crediamo in Dio, rispose Berljoz, sorridendo impercettibilmente della paura dello straniero, ma si può parlarne con assoluta libertà.

Ma Il Mestro e Margherita non è solo un romanzo politico. È un libro fatto di intrecci e di squilibri nelle cui trame il lettore si sente spesso perso e confuso. In questo senso è perfettamente russo: la trama non è sempre lineare, i personaggi sembrano chiamarsi tutti allo stesso modo, i protagonisti della storia appaiono a metà del libro e non all’inizio della vicenda. Tutte queste caratteristiche fanno davvero in modo che qualunque lettore si senta come un equilibrista in bilico su un sottilissimo fil rouge di cui non conosce nemmeno bene la natura. Il romanzo, in generale, segue tre narrazioni che, con diversi stili di scrittura, continuamente si intrecciano e si allontanano per poi ricongiungersi definitivamente nel finale. Il primo nucleo narrativo segue le avventure di Woland (il diavolo) e dei suoi strambi compari nella Mosca stalinista, fatta di propaganda e censura. Il secondo è quello più lirico e romantico ma anche più autobiografico. Si parla della storia d’amore tra il Maestro, un poeta impazzito perché il suo grande romanzo non viene accettato dall’editoria, e Margerita, la sua amante, sposata tristemente con un altro uomo.

L’amore ci aveva sorpreso inatteso e violento come un assassino che sbuchi fuori d’improvviso, e ci aveva pugnalato entrambi. Così colpisce il fulmine, così colpisce la lama finnica. Del resto, lei sosteneva in seguito che non avvenne così, che noi ci amavamo da sempre, senza saperlo, senza esserci mai visti.

Il terzo nucleo narrativo, dal carattere mitico-eroico, è la storia di Ponzio Pilato, procuratore della Giudea, che si trova, in un giorno di forte emicrania, a dover processare un uomo che sembra ribellarsi al potere di Roma. Quest’uomo è Gesù Cristo.

In tunica bianca, foderata di porpora, con un’andatura strascicata, un mattino di primavera, il quattordici del mese nisan, uscì dal colonnato chiuso fra le due ali del palazzo di Erode il Grande, il procuratore della Giudea, Ponzio Pilato.

Queste tre storie, in apparenza del tutto diverse, sono in realtà fortemente legate. Woland, infatti, ha bisogno di una donna come “regina” per un ballo infernale organizzato da lui a Mosca. Sceglierà per questo ruolo proprio Margherita, disperata perché da tempo non ha più notizie del suo amante. La storia di Ponzio Pilato, invece, non è altro che il romanzo scritto e bruciato dal Maestro. Questo è ciò che intendo quando dico che questo libro è fatto di fili sottili tra cui è facile perdersi. È in questo squilibrio esistenziale, sociale, politico,  che trionfa l’Amore. Amore non inteso solo come eros, ma anche semplicemente come quel puro sentimento divino, ma anche umano, che si prova nei confronti dell’universale. Non è quindi un caso che i tre nuclei narrativi si concludano tutti con tre miracoli che dimostrano la bontà naturale dell’uomo (ma anche quella di Dio): dalla Grazia concessa a Pilato, alla “pace” per il Maestro, passando per la liberazione di Frida (una dannata costretta a ricevere ogni giorno il fazzoletto con cui ha ucciso il proprio bambino). Storie come questa ci dimostrano che il perdono esiste e che l’uomo non vive esclusivamente immerso nell’odio, in una condizione di guerra permanente, come direbbe Hobbes. Al contrario, l’uomo è anche in grado di provare Amore e, quando lo fa, origina miracoli.

Frida! Gridò Margherita. La porta si spalancò e scarmigliata, nuda, ma senza alcun segno di ubriachezza, si precipitò nella stanza una donna dagli occhi frenetici. Tese le braccia a Margherita che le disse con tono regale: Ti perdonano. Non ti daranno più il fazzoletto. Si udì l’urlo di Frida che cadde a terra prosternata davanti a Margherita.

Questo romanzo fu riscritto da Bulgakov un centinaio di volte e, tra le mille modifiche effettuate, la storia pian piano si è del tutto rivoluzionata. Ad esempio il personaggio di Margherita, uno dei più amati del romanzo, nelle prime stesure del libro nemmeno esisteva! Questo perché al nostro autore servì un incontro, uno scambio, per riuscire ad immaginare la bella ragazza dai fiori gialli. Il poeta infatti, sposò, nel 1932, Elena Sergeevna Šilovskaja, la terza delle sue tre mogli, la donna della sua vita e della vita anche di questo romanzo. Sarà infatti lei, dopo la morte del marito, ad editare “Il Maestro e Margherita” e a permetterne la pubblicazione. Elena è Margherita, lo esplicita più volte anche lo stesso Bulgakov. Ed è così che dalla penna, ma anche dalla vita di uno scrittore, è nata una delle grandi donne della letteratura mondiale.

Foto di Bulgakov con la moglie

Margherita è un personaggio di cui è impossibile non innamorarsi. È una donna annoiata dalla vita monotona in cui è reclusa a causa del suo matrimonio infelice e degli obblighi sociali che la incatenano. Ha tanto, Margherita, delle eroine del romanzo ottocentesco. Lei stessa dichiara che preferirebbe avvelenarsi piuttosto che vivere senza il suo grande Amore. La storia di Madame Bovary, come quella di Anna Karenina, non può che riecheggiare tra queste pagine. C’è qualcosa però di diverso in questo personaggio che non è possibile trovare altrove. Margherita ha anche, infatti, il coraggio e l’audacia di Faust. Non si tira indietro di fronte al volto del diavolo e farebbe di tutto per vivere la vita che desidera. Non si lascia prendere dalla disperazione, combatte a testa alta e a mente lucida. E alla fine l’avvelenamento avviene, sì, ma questo non è visto come un modo per fuggire da una vita non più sostenibile, bensì come una varco verso un futuro immortale, non di luce ma di pace.

Non ha meritato la luce, ha meritato la pace.

E poi c’è Woland, il diavolo, l’illusionista. Anche lui è uno dei personaggi più celebri del romanzo. Satana in questo libro assume caratteristiche del tutto diverse da quelle che solitamente lo contraddistinguono. È un uomo ben vestito, ironico e, soprattutto, capace anche di azioni volte al bene. All’interno della storia, più turpi e violenti del diavolo appaiono  gli uomini. Woland è poi accompagnato da una strana banda. Il gatto Behemoth (o Ippopotamo, che dir si voglia) è divenuto iconico, con le sue battute sarcastiche e le sue movenze da umano, così come Hella, la donna sempre nuda; c’è poi Azazello, l’assassino, e così via. L’abilità straordinaria di Bulgakov è quella di riuscire a raccontare e a descrivere con un’ ironia meravigliosa anche ciò che normalmente susciterebbe paura. Il diavolo e i suoi aiutanti conquistano, così, fin da subito, la simpatia del lettore. Anche la festa, organizzata dallo stesso Satana nella periferia di Mosca, è l’emblema di tutto ciò: dannati che esagerano con l’alcool, massaggi alle ginocchia, morti che scherzano l’uno con l’altro, scope volanti. Il mondo delle tenebre e della miseria diventa, tra queste pagine, assurdo, comico e divertente, specchio di una società piramidale (come quella bolscevica) costruita su una legge morale instabile e capovolta.

Non resta che munirsi di stracci e tappare ogni fessura della mia stanza. Di che sta parlando, Messere?Parlo della misericordia, disse Woland, spiegando le sue parole senza staccare lo sguardo infuocato da Margherita talvolta, nella maniera più inaspettata e assurda, si insinua fin nelle fessure più strette. Ecco, perché parlo di stracci…

Non finirò mai di elencare i motivi per cui amo questo romanzo. Mi fu consigliato dal mio meraviglioso professore di religione del liceo, uomo dai gusti letterari sopraffini e di cui mi fido ciecamente. Non appena entrata in questa storia, dopo l’iniziale spaesamento, mi innamorai subito di tutto il mondo di personaggi e di intrecci che Bulgakov era riuscito a creare con un stile così avvolgente. Chissà se sarei quella che sono ora se non avessi mai incontrato questo romanzo. Mi piace pensare di no. Nel mondo grigio e fumoso della quotidianità, ci sono racconti che ti permettono di riprendere il fiato. Ossigeno puro, Salvezza. Da decenni il Maestro e Margherita ci salva dalla superbia tipicamente umana (dalla nostra υβρις direbbero gli antichi greci) e ci permette di vedere la nostra fragilità di fronte all’Infinito, dinnanzi al quale possiamo contare solo sulla forza del nostro Amore.

Seguimi, lettore! Chi ti ha detto che non esiste a questo mondo l’amore vero, fedele ed eterno! Al mentitore sia tagliata la lingua. Seguimi, lettore. Solo me, segui. E io ti mostrerò un tale amore.

Nella speranza che questa storia vi torni a trovare nei sogni più squilibrati delle notti di plenilunio. Lea

I testi qui riportati sono tratti dalla traduzione di Milly De Monticelli


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