Richiedere asilo in Italia

I media e la Politica hanno reso le migrazioni un dibattito costantemente presente nell’opinione pubblica, a tal punto che spesso la retorica lascia spazio ad analisi estremamente superficiali e scorrette. Il paradosso è che per quanto siano sulla bocca di tuttз, le migrazioni non sono quasi mai comprese come fenomeno economico-sociale complesso. Quali ragioni muovono la scelta di spostarsi dal proprio paese? Quali ostacoli si subiscono nel paese di destinazione, e soprattutto, in Italia?

Vi risparmierò il monologo infinito che solitamente propino a chiunque mi chieda un’opinione in tema di migrazioni (provare per credere!) e mi limiterò a fare chiarezza su quei punti chiave spesso ignorati dal dibattito pubblico e politico, tentando di addolcirli un po’.

Innanzitutto, è impossibile comprendere un fenomeno se non se ne conoscono le cause prime. Le migrazioni, infatti, sono profondamente connesse alle disparità sociali ed economiche tra Occidente e cosiddetto Terzo Mondo, che affondano le proprie radici nel passato coloniale e che si manifestano oggi nel neo-colonialismo del capitalismo deregolamentato. Se in passato i colonizzatori (e sì, in questo caso utilizzo il maschile universale di proposito) si occupavano di espropriare i territori del Terzo Mondo, lasciandoli poi privi di risorse e di strutture organizzative necessarie allo sviluppo, oggi lo sfruttamento è ancora più subdolo. Alle cicatrici storiche si aggiungono le vulnerabilità politiche e sociale causate dalla voragine economica del debito estero, che questi paesi sono ingiustamente chiamati a pagare per i finanziamenti occidentali con cui si è tentato di sopperire alla mancanza di risorse causata dal colonialismo: un circolo vizioso e paradossale che riconduce all’evidente colpa dell’Occidente. L’espropriazione dei territori e degli individui non è di certo cessata, ma ha semplicemente cambiato volto. Oggi è il capitale delle multinazionali a potersi spostare comodamente di paese in paese alla ricerca ossessiva di forza lavoro a basso costo, disposta ad accettare condizioni disumane pur di far parte del mercato internazionale (requisito necessario per guadagnarsi un’esistenza in questo mondo). Se a tutto ciò aggiungiamo le conseguenze disastrose di una crisi climatica che miete vittime nei paesi più vulnerabili e al contempo meno responsabili, il quadro che ne deriva spiega quasi in maniera implicita i motivi che possono portare alla volontà di intraprendere un progetto migratorio, nonostante gli ostacoli e i costi di una tale scelta.

Se si tengono a mente questi elementi, le retoriche populiste dei “porti chiusi” non assumono alcuna efficacia nell’organizzazione del fenomeno migratorio. A cosa possono servire politiche contingenti e transitorie nel risolvere cause strutturali e perpetue? La risposta è molto semplice: a nulla, se non a rendere infernali le condizioni di chi decide di migrare.

Potrei fare una lista lunghissima degli ostacoli legali e burocratici che una persona immigrata è costretta a subire, ma mi limiterò a un paio di esempi veloci. Innanzitutto, è fondamentale ripescare tra le nostre memorie la legge 189 del 2002, ai più conosciuta come legge Bossi-Fini. L’idea alla base di questa normativa viene dichiarata essere l’immigrazione zero, ma la realtà suggerisce, più che altro, uno scenario a zero diritti. Nonostante non sia stata la prima né l’ultima legislazione volta alla criminalizzazione degli immigrati, la legge Bossi-Fini rappresenta la deriva neo-liberale delle politiche migratorie. Infatti, la legge 189 sancisce il lavoro come requisito necessario del progetto migratorio: l’immigrato smette di essere attore sociale e si trasforma in mere braccia da lavoro, dipendenti dalle necessità economiche dello Stato. Per di più, l’imposizione di tali restrizioni anziché ridurre il numero di migrazioni, non ha fatto altro che produrre clandestinità, e di conseguenza disordine sociale: un elemento sempreverde nella politica migratoria italiana.

Spostandoci a tempi più recenti, vale la pena prendere in esame due elementi che ci aiuteranno a fare chiarezza: la disarticolazione del sistema di accoglienza e le restrizioni nella richiesta del diritto d’asilo. Innanzitutto, un buon sistema di accoglienza si riconosce da una struttura organizzativa organica che tiene conto dell’intero processo migratorio, dall’accoglienza all’integrazione. Ecco, negli ultimi decenni assistiamo esattamente al contrario. I centri di accoglienza straordinaria (CAS) si trasformano in centri a lunga permanenza seppur carenti delle caratteristiche necessarie, costringendo così migliaia di persone a condizioni di vita pietose. In più, i centri per il rimpatrio (CPR) si fanno sempre più spazio e sono le uniche strutture che vengono costantemente implementate (specialmente dopo la legge 46 del 2017, anche nota come legge Minniti), rivelando ancora una volta il carattere punitivo delle politiche migratorie. Per quanto riguarda il diritto d’asilo, siamo tuttз a conoscenza delle disastrose conseguenze del Decreto Sicurezza del 2018 (Decreto Salvini, per intenderci). La normativa, infatti, ha chiuso l’unico e ultimo canale legale per entrare in territorio italiano, ovvero la richiesta di protezione umanitaria che viene negata a chiunque non provenga dai paesi citati come sicuri (secondo il criterio arbitrario di chi vive nella parte privilegiata del mondo, al sicuro nella propria dimora confortevole) e nel caso vi sia una cosiddetta “alternativa di fuga interna”, ovvero nel caso in cui siano presenti territori sicuri nelle vicinanze del proprio paese.

Credo che a questo punto sia chiara l’inefficacia delle politiche migratorie nel nostro paese, ma parlare di migrazione solo in termini burocratici rischia di essere riduttivo, perciò ritengo sia fondamentale dedicare uno spazio al processo di mutuale trasformazione culturale e sociale che riguarda chi emigra e chi abita i paesi d’arrivo. In altre parole, come è possibile realizzare quel multiculturalismo di cui tanto si discute?

Non ho di certo la risposta, ma personalmente credo che la chiave di volta nel costruire un reale progetto di interculturalità risieda nel comprendere l’immigrato come soggetto attivo. Spesso, infatti, la tendenza è quella di dipingere il processo di integrazione o come impossibile o come estremamente semplice. Nessuna delle due visioni restituisce la complessità che ciascun essere umano, in quanto tale, porta con sé. Multiculturalismo significa, almeno per me, riconoscere ed accettare che la coesistenza fra culture e popoli non è scontata: serve impegno, negoziazione, conflitto e poi, costruzione e crescita simbiotica. L’obbiettivo non dovrebbe essere il mero tentativo di inglobare chi arriva nella cultura di destinazione, bensì mediare le parti in un’ottica post-nazionale e questo non sarà mai possibile se non accettiamo lo sforzo di comprendere nel profondo chi abbiamo davanti.

In questo senso, Scambi ha voluto fare la sua parte realizzando un laboratorio dedicato alla comprensione di tutti quegli ostacoli sopracitati che chi decide di emigrare è costretto a subire nel richiedere asilo in Italia. Il referente è stato Jacopo Colomba, consulente di We World Onlus, un’organizzazione no-profit che si occupa di promuovere progetti in favore dei diritti di donne e bambini provenienti da comunità fragili. Sostenere realtà preziose come questa è il primo fondamentale passo verso un mondo più giusto.


Questo articolo è parte di una serie di “Cartoline” che racconteranno i laboratori di Scambi 2021. Se vuoi saperne di più e rimanere aggiornato, segui il nostro Blog e le nostre pagine social, oppure scrivici!

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