Il grande Gatsby

The Great Gatsby, romanzo di F. Scott Fitzgerald, esce nel 1925. Il titolo italiano suona Il Grande Gatsby, in una traduzione che evita di perdere l’allitterazione gutturale originale (a differenza del primo tentativo di traduzione, Gatsby il magnifico). La storia raccontata da Fitzgerald è oggi considerata un classico della letteratura inglese, diventato familiare al grande pubblico grazie alla trasposizione cinematografica più recente, con protagonista Leonardo DiCaprio.

Emblema letterario dell’età del jazz, Il Grande Gatsby parla di felicità, ma non la raggiunge mai, forse perché non trova la strada giusta per farlo. Quindi, è una storia che cerca la felicità, e finisce aspettandola, un romanzo che, per quanto cerchi di allontanare la malinconia, resta profondamente blue, proprio come la sua copertina originale.

The Great Gatsby 1925 cover without the title or author superimposed

Più di altre, quella di James Gatz—nome originale di Jay Gatsby—e del suo mondo, è una storia che parla di tutti noi, e lo fa attraverso le sfaccettature plurali dei suoi personaggi. Mi piace pensare che nei romanzi e, in generale, nelle creazioni letterarie, si perda molto nell’identificare ogni personaggio con un “tipo” di persona diversa – come a dire che Nick è “l’indeciso”, Daisy “la narcisista”, Tom “il cattivo” e così via. Piuttosto, credo sia efficace leggere un libro pensando ad ognuno di loro come ad una facie di quel poligono complesso che siamo tutti noi – ed ecco che in Gatsby ritroviamo un po’ della nostra ambizione, mentre in George un po’ della nostra rassegnazione. Detto questo, possiamo avvicinarci al racconto, per capire un po’ meglio cosa si intenda nell’interpretarlo come “una ricerca non compiuta”. Il Grande Gatsby è ambientato nei Roaring Twenties americani, il decennio storico che profuma di lusso, ubriacatura, frenesia ed eccentricità. All’uscita dalla prima guerra mondiale, i cittadini americani sfruttano (l’apparente) ascesa economica e surfano l’onda del divertimento. Al proibizionismo corrisponde una crescita delle organizzazioni criminali dedite al contrabbando di alcol, droghe ed armi. Il clima socio-politico-culturale segna profondamente le abitudini delle classi agiate, soprattutto nelle grandi città come New York, setting del romanzo. Nel racconto, il contesto sociale non è pregnante a livello descrittivo, ma entra prepotentemente nella configurazione dei personaggi e nei loro comportamenti, come se in questi si delineassero i tratti tipici della società americana del tempo. Nick, Daisy, Tom, Jordan, Myrtle, … si intrecciano in un climax che culmina nel Jay del titolo: la loro squilibrata ricerca non si compie mai e, forse, il suo compimento è segnato dall’inizio come impossibile, ostacolato dalla direzione che hanno intrapreso e dal contesto in cui vivono. Tuttavia, nonostante agli occhi del lettore possano sembrare avvolti in un turbinìo infelice, non è detto che, visti da fuori, questi personaggi non possano insegnarci qualcosa e, per via negativa, darci la possibilità di compiere un tentativo diverso dal loro. La speranza di Gatsby, l’ambizione sfrenata che gli permette di raggiungere fama e ricchezza partendo da zero, è l’energia che anima il racconto e che arriva a comporre la “grammatica mitologica” del sogno americano. Il personaggio che titola il libro entra in scena solamente all’altezza del terzo capitolo, ma la sua “grandiosità” e la magica capacità che ha di influenzare ci fanno sentire la sua presenza fin dall’inizio. In primis, tramite Nick Carraway, vero protagonista del racconto, voce narrante e nucleo attorno cui ruotano personaggi e fatti newyorkesi. Lo squilibrio attraversa il romanzo, ramificandosi in diverse direzioni. È, innanzitutto, quello valoriale, rispecchiato, ad esempio, dall’invadente indifferenza che pervade le vite di Tom e Daisy.

Erano gente sbadata, Tom e Daisy: sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro o nella loro ampia sbadataggine o in ciò che comunque li teneva uniti, e lasciavano che altri mettessero a posto il pasticcio che avevano fatto….

Questo sentimento inconsiderato si ripercuote anche sull’ambiente naturale: nelle descrizioni di uno dei luoghi più enigmatici del racconto, incontriamo la difficoltà della conciliazione tra cultura e natura. Crescita smisurata e sfruttamento squilibrato sono eccessi che affliggono l’attività umana attraverso le generazioni, fino ad oggi.

A metà percorso tra West Egg e New York, l’autostrada raggiunge bruscamente la ferrovia e la costeggia per quasi mezzo chilometro come per evitare una zona desolata. È la Valle delle Ceneri: una tenuta fantastica dove le ceneri crescono come il frumento, creando alture e colline e giardini grotteschi; dove la cenere assume la forma di case coi camini e il fumo che ne esce, e infine, con uno sforzo di fantasia, di uomini grigiocenere che si spostano confusamente e già in via di disfacimento nell’aria polverosa.

George Wilson and his wife Myrtle live in the "valley of ashes", a refuse dump (shown in the above photograph) historically located in New York City during the 1920s. Today, the area is Flushing Meadows–Corona Park.
George Wilson e sua moglie Myrtle vivono nella Valley of ashes, qui fotografata dall’alto. Si tratta di una discarica  storicamente localizzata a New York durante gli anni ’20. Oggi, in quell’area c’è il Flushing Meadows–Corona Park. Lo squilibrio è poi “mentale” se consideriamo il carattere di *Nick* come emerge dalle sue mosse narrative: colpito dai pesanti avvenimenti della storia, decide, probabilmente, di raccontarla nel suo diario (che costituisce il romanzo stesso) nel tentativo, pare, di elaborare il **trauma** della vicenda.

Ma dopo essermi così vantato della mia tolleranza, voglio ammettere che essa ha i suoi limiti. La condotta può fondarsi sulla roccia salda o sulle paludi infide, ma a un certo punto non m’importa più su che cosa si fondi. Quando ritornai dall’Est, l’autunno scorso, mi pareva di desiderare che il mondo intero fosse in uniforme e in una specie di eterno “attenti” morale; non volevo più scorrerie ribelli e indiscrezioni privilegiate nel cuore umano.

C’è, poi, lo squilibrio romantico, sottospecie dell’ambizione di Gatsby, incarnato dalla storia d’amore tra lui e Daisy.

Daisy vi stava seduta con un tenente che non avevo mai visto prima. Erano così assorti l’uno nell’altra, che lei non mi vide finché non fui a qualche metro di distanza. […] L’ufficiale, mentre Daisy parlava, la fissava come tutte le ragazzine desiderano essere fissate una volta o l’altra; non ho mai dimenticato quel momento perché mi parve molto romantico. Lui si chiamava Jay Gatsby.

Cosa accomuna tutti questi “tipi di squilibri”"? La ricerca, forse, e il desiderio smisurato. Pensando a Gatsby, le sue feste sono l’attrazione cittadina per chiunque abbia voglia di divertimento, avventura, movimento e “grandiosità”. La sua villa figura dalla costa come un castello dei sogni, dove il jazz e i personaggi più noti si confondono nella folla, tra stanze colorate e cristalli, immersi nel lusso spettacolare, sotto ad un cielo di fuochi d’artificio. Nessuno conosce il proprietario di casa, ma tutti pensano di rivelare i segreti del suo passato, tra racconti di università prestigiose, atti eroici e omicidi misteriosi. Solo Nick riuscirà ad entrare nel profondo dell’animo di Gatsby, scoprendo le sue umili origini, il suo elaborato progetto per conquistare Daisy e la sua intima solitudine.

Nelle notti estive mi giungeva la musica dalla casa del mio vicino. Nei suoi giardini azzurri uomini e donne andavano e venivano come falene fra bisbigli e champagne e stelle.

All’inizio del IV capitolo leggiamo una fitta lista degli invitati ad uno dei grandi eventi in casa Gatsby: tre pagine di nomi e cognomi, a testimoniare la schiacciante popolarità del party e del suo ospite. Questi nomi sono definiti “grigi” da Nick, in prima battuta perché il registro è datato e sbiadito, ma, metaforicamente, perché le persone che attraversano la “casa dei sogni” sono presenze fantasmatiche nella vita di Mr. Jay Gatz.

Le persone non erano invitate: andavano. Salivano su macchine che le trasportavano a Long Island e qui, chissà come, finivano alla porta di Gatsby. Arrivati lì, si facevano presentare da qualcuno che conosceva Gatsby, dopodiché si comportavano secondo il galateo appropriato ad un parco di divertimenti. Ma a volte arrivavano e partivano senza neanche aver conosciuto Gatsby, venivano alla festa con una ingenuità che costituiva da sola il biglietto d’ingresso.

Quando Nick vede il padrone di casa alla festa, quest’ultimo è in piedi, in cima alle scale, e fa scivolare uno sguardo compiaciuto sui gruppi di persone che affollano la sua residenza. Tuttavia, Gatsby se ne sta “solo”, super-partes, come ad essere la condizione di possibilità di quelle celebrazioni di entusiasmo, che tuttavia lo fanno passare inosservato, dato per scontato. Gli invitati ignorano il suo vero passato, non lo conoscono e non sono interessati ad approfondire la fondatezza dei chiacchiericci che lo riguardano. Jay è l’energia del racconto, la sua villa il centro gravitazionale di New York: ma a cosa, a sua volta, aspira Gatsby, cosa lo attira? Nick descrive spesso il suo nuovo amico come “animato da una speciale speranza”.

Non aveva niente a che fare con l’impressionabilità flaccida che viene classificata col nome di “temperamento creativo”: era una dote straordinaria di speranza, una prontezza romantica quale non ho mai trovato in altri, e quale probabilmente non troverò mai più.

Simbolica nel racconto è la luce del faro che sta aldilà dalla costa rispetto alla casa di Gatsby. La luce è verde, come la speranza (e come la carta dei dollari americani), e risplende dal molo dell’abitazione di Tom e Daisy. Ogni sera, Gatsby si sporge dal pontile, e con la mano cerca di afferrarla. Non aspetta altro che Daisy, la sua romantica sfida, sia attratta dal lusso accumulato grazie ai suoi affari, e da tutto ciò che il suo nuovo stile di vita può offrirle. La fama, il successo, la ricchezza, l’eleganza: il personaggio di Gatsby che James si è costruito, non è altro che l’insieme delle coordinate agognate e conquistate, per dimostrare a se stesso e alla società di meritare ciò che pareva precluso agli umili di nascita come lui. Tuttavia, nonostante l’impegno, la dedizione e il duro lavoro abbiano permesso a Gatsby di ritagliarsi uno spazio agiato, la sua sete sembra intrinsecamente insaziabile, fatta di quella brama inesauribile che sola gli permette di perseguire i suoi obiettivi “limitati” e di raggiungerli uno dopo l’altro. Daisy rappresenta il sogno più grande, il culmine che oltrepassa ogni risultato, la ragione di tutto (è per “potersi permettere” una “ragazza per bene” come lei che Gatsby intraprende una vita ambiziosa, e si costruisce come ricco gentiluomo).

Quando lo fissai, si riprese visibilmente. Teneva fra le sue una mano di lei e, quando Daisy gli disse qualcosa all’orecchio, le si avvicinò in uno slancio di emozione. Credo che quella voce lo avvincesse col suo calore fluttuante e febbrile soprattutto perché non poteva superare il sogno: quella voce era un canto immortale.

Cosa succede quando l’anima sognante di Gatsby, guadagnate tutte le istanze necessarie a conquistare Daisy, ha finalmente di fronte a sè quell’ultimo lume di speranza, rappresentato dalla ragazza più dolce?

…Se non ci fosse la nebbia si vedrebbe la tua casa di là dalla baia disse Gatsby. C’è sempre una luce verde accesa tutta la notte all’estremità del tuo pontile. Daisy infilò bruscamente il braccio sotto quello di lui, ma Gatsby parve assorto in quello che aveva detto. Forse gli era venuto in mente che il significato colossale di quella luce era ormai finito per sempre. In confronto alla grande distanza che lo aveva separato da Daisy, la luce era sembrata molto vicina a lei, come se la toccasse. Era sembrata vicina come una stella alla luna. Ora era di nuovo la luce verde di un pontile. Il numero degli oggetti fatati era diminuito di uno.

In questo paragrafo è rinchiusa la tragedia del racconto e, leggendolo, si scorge lo sguardo di Gatsby offuscarsi, e si sente il rumore del suo sogno che cade, frantumandosi. Si tratta, forse, del luogo e del momento in cui l’eroe muore veramente, sconfitto dalla logica della sua ricerca. La luce che risplende dal faro è metafora che sta per Daisy e per quel sogno del self-made man da far sbocciare nella “terra promessa” americana. Ma se sono i raggi imprendibili di quella luce e la loro inafferrabilità ad animare Gatsby e a rendere desiderabile ogni sacrificio (perchè vòlto a conquistare qualcosa che va oltre), quando l’incantesimo si rompe, e il desiderio si incorpora in un alcunchè di vicino e finito, l’ambizione stessa viene a mancare, il misterioso diventa oggetto conosciuto e ogni sforzo perde il suo significato profondo.

… Mentre ci aggiravamo fra le centinaia di persone sfavillanti, la voce di Daisy le modulava in gola mille inganni. Queste cose mi esaltano talmente bisbigliò. Se ti vien voglia di baciarmi durante la serata, Nick, non hai che da dirmelo, e sarò lieta di accontentarti. Basta che tu mi chiami per nome. O che mi mostri una tessera verde. Questa sera è di rigore il verde….

Daisy è da pensare, ora, come “oggetto”. Al di là di ogni accusa di ingiustizia di genere, rimanendo nel solo contesto metaforico-letterario, quello che si intende dire è che l’amata non è veramente tale: non è il fine inesauribile ed Assoluto cui infinitamente tende Gatbsy (le quali vesti possono essere indossate da ognuno). Daisy è piuttosto oggetto finito di desiderio, che si contrappone all’infinito potenziale dell’ambizione di Gatsby. Il desiderio incolmabile che anima Gatsby è quello che muove tutti noi. Quando è indirizzato ad un qualcosa di finito, e crede di potersi saziare, è lì che fallisce e si spegne. Per mantenersi accesa, l’energia romantica deve aspirare a qualcosa di infinitamente altro, e dichiararsi sconfitta di fronte ad esso. Lo squilibrio finito-infinito del desiderio, per essere anima, va conservato. Si può trattare dunque, nel caso della brama, di uno squilibrio positivo, in questo senso, che per restare tale deve intraprendere una via di ricerca simile a (ma diversa da) quella intrapresa dal Grande Gatsby.


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