Afghanistan

Lo scorso agosto abbiamo visto la maldestra ritirata degli Stati Uniti dal territorio Afghano, annunciata dal “simpatico” Donald Trump e poi attuata dal “burlone” Joe Biden, che vide un ventennio di occupazione americana in un paese dilaniato dalla fame, dall’emergenza climatica, dall’instabilità politica e da una crescente crisi umanitaria e sociale da far gara al Venezuela e al Libano post Beirut (ovvero dopo l’esplosione avvenuta al porto, a Beirut, il 4 agosto 2020, qui per approfondire).

Oggi in Afghanistan sette abitanti su dieci non hanno nessun tipo di accesso all’acqua potabile, altrettanti hanno difficoltà a reperire beni di prima necessità e molti villaggi rurali (si, l’Afghanistan non é solo Kabul) stanno letteralmente scomparendo, distrutti dalla siccità e dalla carestia che portano con se decine e decine di vittime (per lo più bambinə, donne e/o anzianə). Tuttavia, dire che questa crisi é iniziata con la riconquista dei Talebani lo scorso agosto é errato. Ma andiamo con ordine.

Premetto una cosa, per quanto mi piacerebbe polemizzare e analizzare le varie tappe della conquista da parte dei Talebani e la pessima comunicazione di molti giornali nostrani, in questo articolo ci concentreremo principalmente sulla crisi umanitaria in atto nel paese, rispettando la Giornata mondiale dei Diritti Umani che cade oggi, toccando dove serve la politica e le istituzioni, senza scendere tuttavia nel dettaglio delle questioni.

Qui troverete delle fonti utili, che vi manderanno ad articoli di giornalist3 ed espert3 del settore, altri consigli li trovate in fondo all’articolo.

Per parlare dell’emergenza umanitaria in Afghanistan non si può non parlare del cambiamento climatico, il perno della questione:

Partiamo subito con alcuni dati: un afgano medio produce circa 0,2 tonnellate di anidride carbonica, una miseria se paragonato a quelle di molti altri paesi: 5,5 tonnellate, per esempio, di un italiano medio e 16 tonnellate di un americano medio. Eppure, dalla metà del XX secolo, l’Afghanistan ha visto un aumento delle temperature pari a 1,8 gradi, più del doppio della media globale che si aggira a 0,80. Questo perché? Semplice: il cambiamento climatico non colpisce i paesi allo stesso modo, complice anche lo stile di vita del posto. Il 78% degli afghani non vive in città e oltre l’80% della popolazione dipende dell’agricoltura per la sussistenza, visto che l’Afghanistan non ha sbocchi sul mare. Il paese per oltre 70 anni ha subito dei lenti disastri provati dalla siccità (e da tutto ciò che essa comporta per il suolo e per il bestiame), dell’acqua potabile che scarseggia ed il clima instabile (inondazioni, smottamenti provocati dallo scioglimento dei ghiacciai, temperature elevate) sta rendendo impossibile il lavoro nei campi, aumentando del 25% il prezzo del grano, tanto che oggi oltre 14 milioni di afgani, ovvero 1\3 della popolazione, vive una grave insicurezza alimentare.

Siccità, alte temperature ed instabilità economico-alimentare sono tutti degli ottimi ingredienti per le guerre, le estremizzazioni (tanto che l’ ISIS-K da quasi un decennio arruola giovanə e giovanissimə senza alcuna difficoltà) e le rivolte civili. Nel 2018 la siccità aveva causato oltre 380.000 sfollati. Ad oggi la situazione si é assai aggravata: gli aiuti umanitari sono congelati (da sottolineare che gli aiuti economici internazionali, anch’essi bloccati, avevano raggiunto oltre il 40% del PIL del paese) e oltre 3 milioni di bambinə, sotto i 5 anni, rischiano di soffrire di malnutrizione acuta entro la fine dell’anno ed oltre un milione di bambinə rischiano di morire di fame. Molte famiglie hanno ricominciato a cedere le figlie in sposa, anche bambine, pur di avere qualche soldo e per portare a fine stagione il resto della famiglia.

Questa crisi, inutile negarlo, coinvolge principalmente donne e bambinə. Il cambiamento climatico, e quindi la crisi umanitaria che ne consegue, non colpisce uomini e donne allo stesso modo, soprattutto in un paese dove la manodopera agricola (principalmente femminile nelle campagne) è così importante per il sostentamento della popolazione. In generale, nel mondo ci sono circa 1.3 miliardi di indigenti, oltre il 70% di essi è donna e delle oltre 125 milioni di persone che necessitano di assistenza umanitaria immediata più del 75% sono donne. In tutto il mondo, l’80% dei migranti climatici è donna ed una percentuale bassissima di loro riesce ad arrivare nel paese desiderato senza subire molestie e violenze sessuali.

Non ci sono dubbi, ci sono solo certezze: questi dati sono frutto di politiche sbagliate, di ingiustizie sociali e delle disuguaglianze di genere che lacerano il pianeta, costringendo milioni di donne a lasciare il proprio lavoro o i propri studi per occuparsi della famiglia, a lavorare in condizioni sempre più complesse e sempre più pericolose e ad abbandonare le loro case in cerca di una vita migliore con tutti i rischi che ne conseguono.

Nel caso dell’Afghanistan, vent’anni di occupazione americana hanno plasmato una generazione di donne che hanno respirato la “libertà”: l’istruzione, il lavoro, il cinema. Con i Talebani al governo le regole per le donne si sono irrigidite, l’accesso alle scuole non è più scontato, molte donne hanno dovuto lasciare il proprio lavoro ed i cinema sono stati chiusi immediatamente. Ai Talebani sfugge che le donne afghane non sono più quelle di una volta, quelle che hanno lasciato vent’anni fa, hanno assaporato l’indipendenza economica ed il diritto a sognare di essere ciò che desiderano (insegnanti, registe, commercianti ecc). Da agosto ad oggi ci sono state circa 40 manifestazioni contro il regime Talebano, sedate spesso nel sangue, molte di queste composte da sole donne.

Anche la comunità LGBTQIA+ non se la passa affatto bene con la riconquista del regime Talebano (non che prima stesse una pacchia, capiamoci, ma decisamente meglio di ora). Non è esagerato dire che i Talebani faranno di tutto per sterminare tuttə le persone lgbtqia+, che intanto si sono completamente cancellate dai social (utilizzati come Esca per stanarli, come accadeva in Egitto) e stanno cercando in tutti i modi di lasciare il paese. Per questo aspetto vi rimando a questo approfondimento ben curato che rimanda ad altre fonti molto interessanti.

Una crisi climatica, quindi, che ha portato (e che porterà peggiorando) ad una crisi umanitaria in crescita, in Afghanistan come altrove.

I Talebani hanno saputo sfruttare la crisi interna del paese, promettendo soluzioni e decantando promesse su problemi legati alla siccità e all’acqua: promesse difficili da mantenere e che rischiano di peggiorare ulteriormente la situazione. Tutto uno schema già visto: usare le risorse naturali come strumento di consenso.

Ma, ora che sono al Governo, sono i Talebani stessi ad essere indeboliti dalla crisi umanitaria e climatica che avvolge l’Afghanistan e, se non manterranno le promesse, rischiano di perdere consenso a favore di gruppi ancora più radicali ed stremisti di loro, come l’Isis-k (qui per approfondire). Questo porterebbe ad un aumento di attentati (che fanno già più di 15.000 morti e feriti all’anno) e ad un aumento di sfollati e di rivolte interne.

Mentre noi accendevamo i riflettori solo su Kabul ed esultavamo autoproclamandoci “eroi” per aver salvato “gli amici nostri” al porto di Kabul (lasciando lì milioni di persone bisognose senza nessun tipo di supporto, ma che importa, basta spegnere i riflettori dei mass media e il problema sparisce) decine di persone venivano arruolate nelle campagne afghane dall’isis-k e i talebani rivelavano il loro vero volto: giustiziavano tutti i dissidenti nelle campagne, lontano dagli occhi occidentali, troppo pigri per superare la città.

Oggi, nella Giornata mondiale dei Diritti Umani, vi ho parlato dell’Afghanistan, ma poteva essere la grave crisi economica ed umanitaria in Libano (situazione simile), in Colombia, la grande migrazione del Venezuela, i campi profughi (o dovrei dire prigioni mascherate?) della Grecia, il confine fra Polonia e Biellorussia e moltissimi altri paesi e casi: come cittadini privilegiati abbiamo il dovere di sapere e di agire come possiamo, abbiamo il dovere di fare il “nostro” per diminuire le emissioni e tutelare il più possibile l’ambiente, risparmiando il più possibile, ad esempio, il nostro consumo di acqua (consumiamo più acqua di ogni altra nazione Europea, dai 200 ai 245 litri al giorno per Italiano. Parliamo di circa 13.563.200.000 litri di acqua al giorno, qui per approfondire) e limitando il nostro consumo di carne ( Qui per approfondire l’inquinamento dato dalla produzione di Carne). Aiutiamo in ogni modo a far girare le notizie, anche dove i principali siti e media non arrivano, scendiamo in piazza quando ci chiedono di farlo, per le cause che troviamo giuste, firmiamo iniziative e supportiamo i/le volontari/e e i/le giornalisti/e che si battono per i diritti umani in tutto il mondo. È utile. Serve.

Alcune fonti per tenervi aggiornatə sul mondo

  • Cecilia Sala, giornalista, scrive di esteri su IlFoglio
  • Leila Belhadj Mohamed con il suo bellissimo podcast Matassa
  • Settimanale Internazionale (disponibile sia in digitale che in cartaceo, con diverse newsletter a cui aderire);
  • Ogni lunedì curo un post di geopolitica, con le principali notizie che arrivano da tutto il mondo, qui
  • Dal Lunedì al Sabato il podcast di Will Media, The Essential
  • Il podcast di The Vision, In 4 Minuti
  • Seguite tutti i progetti di Amnesty Italia

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