Era un normale giorno di liceo quando la professoressa di Scienze ci disse che la stabilità con cui i corpi e le particelle ci sembrano coesistere è, in realtà, una finzione: tutto vive in una perpetua tensione caotica.
Epifania.
L’anima dell’Essere Umano condivide con l’interminato Universo il medesimo squilibrio.
Constatazione forse banale, ma che vista così assunse ai miei occhi le caratteristiche di una verità emozionante e, a tratti, profondamente commovente. La nostra esistenza, infinitesimale rispetto all’immensità del Cosmo, ci sembra spesso effimera e senza senso, ma non è forse rassicurante percepire che la fragilità che possediamo ci accomuna, in un certo qual modo, con l’Infinito?
Se ci si pensa, il delicato equilibrio del nostro organismo può essere minacciato dal più piccolo malfunzionamento. Ad esempio, è sufficiente una minuscola base azotata fuori posto affinché il complicato ingranaggio del DNA si spezzi inesorabilmente, eppure è proprio in questa potenziale instabilità che risiede il comune destino di ogni apparente equilibrio in Natura.
Probabilmente, la vera croce dell’esistenza umana è che questa mancanza di equilibrio si estende aldilà della dimensione materiale, fino a raggiungere gli angoli più remoti del nostro Spirito. La capacità di emozionarsi, comunicare e riflettere in modi così peculiari produce negli Esseri Umani una condizione di complessità, meravigliosa e straziante al medesimo tempo.
La difficoltà, in fondo, sta tutta qui: la complessità esclude il bilanciamento.
Nel condurre le giornate su questo puntino minuscolo dell’Universo, ci si affanna insistentemente nel ricercare qualche effimero appiglio su cui costruire una vita ordinata. Si tenta di decidere minuziosamente ogni tappa, dall’università alla laurea, dal lavoro alla famiglia, illudendosi di poter trovare alla fine del percorso il significato ultimo dell’esistenza. Poi, improvvisamente, ci si rende conto dello strappo nel cielo di carta che si estende sopra i nostri occhi. Ed è così che, come in Pirandello l’Oreste (sicuro e deciso) si fa Amleto (titubante e perplesso) nello scoprire la finzione del teatro di marionette, allo stesso modo, noi Esseri Umani siamo destinati a svelare l’insensatezza che ci accompagna nella commedia della vita. Sperimentare l’incertezza genera dolore e sofferenza, tanto che a volte sembra impossibile poterci convivere. Percepire la facilità con cui i propri pilastri possono sgretolarsi produce disorientamento e, per mantenere la filosofia pirandelliana, condanna gli Uomini a brancolare nel buio, a causa di lanternini dalla luce fin troppo fioca affinché la strada sia illuminata. Eppure, io credo, è proprio in questa precarietà che si cela la speranza di riorientare la propria direzione: la tensione verso un equilibrio che non possiamo stringere ci permette di ricostruire più volte un nuovo significato, nonostante gli inevitabili errori e le cadute.
A questo proposito, Zerocalcare è riuscito, nel suo ultimissimo capolavoro, Strappare Lungo I Bordi, ad esprimere magistralmente queste sensazioni attraverso una metafora tanto semplice quanto potente:
E invece sotto l’occhi c’abbiamo solo ste cartacce senza senso, che so proprio distanti dalla forma che avevamo pensato. […] Io non lo so se questa è ancora una battaglia, oppure se ormai è andata accossì, che avemo scoperto che si campa pure con ste forme frastagliate e che tanto alla fine, tutti i pezzi di carta so’ boni pe’ scaldasse.
Insomma, siamo complessi e disordinati, e la vita probabilmente non possiede alcun un senso, ma forse, va bene anche così. Per quanto sia spaventoso, la chiave potrebbe risiedere nell’accettare lo squilibrio come dimensione intimamente legata al nostro Essere. Bisogna avere il caos dentro di sé, per generare una stella danzante
, diceva Friedrich Nietzsche.