“Sarebbe mai stata felice? E che tipo di felicità sarebbe stata? Per tutti questi anni sono stati come due pianticelle che condividono lo stesso pezzo di terra, crescendo l’una vicino all’altra, contorcendosi per farsi spazio, assumendo posizioni improbabili”.
Il terzo appuntamento del Gruppo di Lettura SquiLibristi riguarda Persone Normali di Sally Rooney. Rooney è una scrittrice irlandese, classe 1991, che ha conosciuto enorme successo negli ultimi anni grazie ai suoi meravigliosi romanzi. Le sue storie, infatti, sono capaci di fotografare con una lucidità devastante le contraddizioni e il disagio delle giovani generazioni, che si trovano a doversi destreggiare nel caos dei tempi moderni. In particolare, Persone Normali sbircia nelle vite di Marianne e Connell, due giovani ragazzi che tentano di amarsi, ma che in qualche modo si perdono costantemente, per poi ritrovarsi a distanza di settimane o mesi e perdersi di nuovo. I due si incontrano al liceo: lui riservato, ma popolare e adorato da tutti, lei considerata strana e per questo marginalizzata. Le distanze che li separano nascondono, in realtà, un legame profondissimo, ma la loro storia viene costantemente ostacolata da costruzioni e costrizioni sociali. Al liceo, Connell teme di poter scalfire il personaggio che gli è stato cucito addosso stando apertamente con Marianne, mentre durante i tempi dell’università i ruoli si invertono. Marianne, infatti, grazie a quell’aria intellettuale che la contraddistingue riceve le attenzioni sociali che invece Connell perde definitivamente. Una lontananza che Rooney descrive anche per mezzo di un’analisi socio-economica dei personaggi. L’autrice, infatti, spesso ribadisce il privilegio economico di Marianne in contrapposizione al disagio provato da Connell, la cui madre lavora come addetta alle pulizie presso la casa di Marianne. Insomma, condizioni così agli antipodi da sembrare incomunicabili fra loro, come se appartenessero a mondi diversi.
Tuttavia, sarebbe estremamente riduttivo disegnare questo romanzo all’interno degli stretti confini di una semplice storia d’amore. Persone Normali vuole raccontare lo squilibrio esistenziale che caratterizza i nostri tempi: l’incapacità di amare è, in fin dei conti, una condizione inesorabile in una società che si fa sempre più liquida. Il pilastro portante della narrazione, infatti, è il concetto di incomunicabilità. Le pagine del romanzo sono scandite da pensieri non detti, sentimenti inespressi e parole sussurrate a metà. Marianne e Connell si amano, ma non riescono a dirselo perché si sentono frammentati e indecisi. Come è possibile lasciarsi amare, ma soprattutto dare amore, se non si è capaci nemmeno di amare se stessi? I protagonisti si interrogano costantemente su chi siano, su quale sia il loro posto nel mondo, senza trovare soluzioni o risposte: una vita sprecata a pensare la vita (come dice il mio amato Brunori Sas), nel tentativo vano di dare un contorno ordinato ai nostri destini malconci. Ed è questo disordine interiore la principale causa della loro inerzia. Un’inerzia che sono sicura ciascuno di noi ha sperimentato, almeno una volta nella vita. Avete presente quella sensazione devastante del sentirsi il tempo scorrere incessantemente tra le dita, senza possibilità di azione o reazione? La caducità celere della realtà e tu, fermo a guardare, sperando che prima o poi il mondo intero smetta di girare
(ebbene sì, un’altra citazione a Brunori: è bene che ci facciate l’abitudine).
La vita è quella cosa che ti porti appresso nella testa. Potrei benissimo rimanere qui, ad aspirare nei polmoni l’orrenda polvere di questa moquette, sentendo il braccio destro intorpidirsi a poco a poco sotto il peso del mio corpo, perché è un’esperienza sostanzialmente identica a qualsiasi altra esperienza possibile.
Ma perché è così difficile provare ad esistere e ad amare, se si tratta di condizioni intimamente umane? Il punto è che la modernità si regge sull’assenza di un centro di gravità stabile. Ci viene fatto credere di poter fare qualsiasi cosa, ma la flessibilità delle infinite possibilità non è altro che un involucro indorato per non svelare l’incertezza fluttuante a cui dobbiamo forzatamente abituarci: non esiste pilastro capace di permanere, non esiste terreno sotto i piedi, non esiste certezza a cui aggrapparsi. Una moltitudine immensa di direzioni che non fanno altro che nascondere la voragine buia delle nostre anime inquiete. Ed è qui che l’Amore si inserisce con forza prepotente. Marianne e Connell sembrano incapaci di ricordarselo, ma in fin dei conti è proprio la presenza l’uno dell’altro a sostenerli e a farli crescere. Non fraintendete, non vuole essere una costatazione cliché e zuccherata: non è mia intenzione relegare l’Amore al solo aspetto romantico, pensatela piuttosto come ad un’enorme rete fatta di relazioni umane di svariata natura e forma. Se ci si riflette, è questa la cosa straordinaria: nonostante si sia costretti a credere che amare non sia possibile in tempi tanto complessi e privi di senso, i legami umani crescono rigogliosi ed imperterriti, non curanti delle brutture che li circondano. L’Amore, infatti, se si cerca bene si trova proprio ovunque.
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