Immaginate di giocare a Nomi, Cose e Città, è stata estratta la lettera F e arrivate alla categoria “Scienziati”. I più esperti e i più nerd tra di voi molto probabilmente scriveranno Richard Feynman, una figura quasi mitologica per gli appassionati di scienza, vincitore del premio Nobel per la fisica nel 1965 per lo sviluppo dell’elettrodinamica quantistica. Alcuni di voi probabilmente non scriveranno nulla. Altri, forse, potrebbero ricordarsi di un altro nome: Rosalind Franklin.
Non l’avete mai sentita?
Se invece vi dicessi Watson e Crick? Scavando nei vostri ricordi di studi delle superiori o universitari vi potreste ricordare che questi due nomi sono associati alla scoperta della struttura a doppia elica del DNA, avvenuta nel 1953, una conoscenza ormai assodata oggi, ma che consentì loro di ricevere il premio Nobel nel 1962.
E, allora, perché abbiamo iniziato a parlare di Rosalind Franklin?
Rosalind nacque a Kensington nel 1920, era una chimica e cristallografa a raggi X. Il suo contributo è stato fondamentale per la comprensione della struttura molecolare del DNA, scoperta che ha aiutato parecchio Watson e Crick nelle loro ipotesi e nei loro studi. Questi, però, si appropiarono ingiustamente delle sue scoperte, impossessandosi dei dati delle immagini di Rosalind effettuate con raggi X. Morì nel 1958, a soli 37 anni, per le complicanze derivanti da un carcinoma ovarico, probabilmente causato proprio a causa delle radiazioni usate per i suoi studi. Nonostante il suo enorme contributo, non ha mai avuto enormi riconoscimenti e gli stessi Watson e Crick non solo l’hanno mai ringraziata, né hanno mai riconosciuto i suoi meriti, ma l’hanno sempre denigrata, tanto che nell’autobiografia di Watson La doppia elica è stata descritta come la terribile e bisbetica Rosy
, una donna non attraente e dal carattere pessimo, molto gelosa del proprio lavoro, che trattava gli uomini come ragazzini cattivi e che vestiva da liceale. Nei decenni successivi alla sua scomparsa, il mito dell’eroina trattata ingiustamente si è esteso sempre di più, alimentato anche dalla morte precoce. Rosalind può essere considerata il simbolo della posizione di inferiorità delle donne nel pantheon della scienza, da sempre abitato soprattutto da uomini.
Ma come mai ho deciso di raccontarvi questa storia? Oggi, 11 febbraio, è la giornata mondiale delle donne nella scienza, istituita dall’Assemblea Generale delle nazioni unite nel 2015. Da studentessa di Farmacia e aspirante ricercatrice, non potevo non farvi conoscere qualcosa del campo. Sicuramente le mie limitate conoscenze non potranno farvi comprendere a pieno l’importanza di questa giornata, ma spero che dopo aver letto questo articolo abbiate qualche curiosità in più di questo vasto mondo.
Da dove parte il contributo delle donne nella scienza e nello sviluppo? Io vi ho parlato di Rosalind perché la sua storia, fin da quando ero al liceo, mi ha sempre colpita, ma le donne in realtà hanno contribuito sin dall’antichità allo sviluppo della scienza. Le difficoltà non sono state poche, per secoli le donne non hanno avuto accesso all’istruzione e all’università, spesso erano rilegate nei conventi, dove hanno potuto affinare le discipline più umanistiche, come la poesia, la letteratura e l’arte, senza però approfondire le così dette scienze “dure”, ovvero fisica, matematica, chimica e biologia, dove una preparazione di base è essenziale. Ma andiamo con ordine. La più antica scienziata di cui abbiamo le testimonianze è Merit Ptah, medico egiziano nata circa nel 2700 a.C., definita dal figlio Sommo Sacerdote
, Sommo Medico
o Medico capo
. Nell’antica Grecia lo studio della filosofia della natura è sempre rimasto aperto alle donne e uno dei nomi più noti è quello di Teano, filosofa e medico, specializzata in matematica. Si passa poi dall’alchimia durante il periodo dinastico nell’antico Egitto, in cui possiamo ricordare Maria la Giudea, inventrice del Bagnomaria, alla scuola del Neoplatonismo alessandrino, dove Ipazia ha potuto insegnare astronomia, fisica e matematica, tanto che viene considerata come la prima donna matematica conosciuta nella storia.
Sopraggiunge poi il Medioevo, un periodo di grande incertezza e difficoltà, in cui la crescente predominanza del Cristianesimo e lo sviluppo del monachesimo, ha portato alla costruzione di numerosi conventi, dove però le donne non hanno mai potuto approfondire la conoscenza scientifica, venendo inoltre escluse dall’istruzione universitaria.
Facciamo un enorme salto temporale ed arriviamo nel XVIII secolo. In quel periodo le donne venivano ancora da molti considerate inferiori agli uomini, ma proprio durante l’Illuminismo queste hanno potuto rivestire un ruolo più ampio nelle discipline scientifiche. Nel corso del diciassettesimo secolo, la crescita della cultura del salotto letterario in tutta Europa ha permesso, a donne e uomini, di scambiare pareri e argomentazioni e proprio in alcuni di questi sono nate alcune delle più recenti scoperte scientifiche, da cui le donne non venivano escluse. In questi anni Laura Bassi è stata la prima donna, in Europa, a ricoprire una cattedra universitaria e la terza a guadagnarsi un diploma.
Il XIX secolo ha permesso un notevole aumento delle opportunità educative per le donne, uno dei nomi di più rilievo è sicuramente Florence Nightingale, infermiera britannica e che per prima ha applicato il metodo scientifico attraverso la statistica. Eurice Newton Foote, che per prima ha capito l’influenza di diversi fattori nel calore dei raggi solari e come questi possano avere un’influenza sul clima, non ha avuto un riconoscimento per i suoi studi, tanto che è stato il professor Joseph Henry a presentare la ricerca al posto suo (non vi sembra un dejà vu?). Alice Ball, prima donna afroamericana ad ottenere un master presso l’università delle Hawaii, è stata la scopritrice di un estratto iniettabile, utilizzato fino agli anni Quaranta per il trattamento della lebbra.
Il XX secolo vede alcuni dei nomi oggi più famosi, che anche quelli di voi che masticano poco la scienza sicuramente conosceranno. Passiamo da Marie Curie, prima donna a vincere un premio Nobel per la fisica nel 1903 (ne ha vinto anche un altro nel 1911 per la chimica), a Maria Montessori, prima donna dell’Europa meridionale a diventare medico, la quale ha ideato un programma di educazione ancora oggi utilizzato in numerosi istituiti. Lise Meitner, una fisica austriaca di origine ebrea, che per prima ha fornito l’esatta interpretazione del processo di fissione nucleare, ha dovuto interrompere le ricerche durante il regime nazista, rimanendo però in contatto con l’amico Otto Hanh. Lise ci aveva visto giusto e nel 1938 è stata dimostrata sperimentalmente la fissione nucleare, cosa che ha permesso a Otto Hanh di vincere il premio Nobel per la chimica nel 1944 (inutile ormai che vi dica del mancato riconoscimento nei confronti di Lise). Katherine Johnson, matematica, informatica e fisica afroamericana ha collaborato con la NASA per la missione Apollo 11, sfidando la mentalità razzista dell’America della seconda metà del 1900. La neurologa italiana Rita Levi Montalcini ha vinto il premio Nobel nel 1986 per la scoperta dell’NGF, una proteina coinvolta nello sviluppo del sistema nervoso umano. Spostandoci in anni ancora più recenti ricordiamo Margherita Hack, astrofisica, divulgatrice e attivista, e Samantha Cristoforetti, astronauta e aviatrice italiana, prima donna negli equipaggi dell’Agenzia Spaziale Europea.
L’elenco è lungo, e potrei continuare per ore, ma voglio lasciare anche a voi la curiosità nel cercare altre figure importanti, anche attraverso film, libri e documentari, come Il diritto di contare, in cui si racconta la storia di Katherine Johnson.
Nonostante ad oggi i contributi delle donne nella scienza vengano riconosciti, sono ancora molte le disparità nel mondo della ricerca. Nell’estate del 2021, dal report annuale Gender in research
di Elsevier, è emerso che in Italia quasi 5 ricercatori su 10 sono donne, in particolare si parla del 44%, sopra la media europea. Negli ultimi anni le donne rappresentano una quota sempre maggiore del settore scientifico, complice anche il progressivo cambio dell’educazione fin dall’infanzia.
Tuttavia, le disparità sono ancora presenti: meno articoli vengono pubblicati dalle donne, sempre più donne lasciano al ricerca. Solo il 20% delle posizioni apicali è rappresentato dalle donne. Per di più, le donne non partecipano a reti di collaborazione allo stesso livello maschile, con un potenziale impatto negativo sulla loro carriera e gli uomini presentano più domande brevettuali rispetto alle donne. Inoltre, in media, nelle pubblicazioni il primo autore a figurare è spesso quello maschile, insinuando un pregiudizio di genere nella pratica della citazione.
Passo dopo passo si sta cercando di raggiungere la parità di genere. Il percorso è ancora lungo, ma sicuramente sono stati fatti molti progressi, basti pensare che nel 2003 nell’Unione Europea la percentuale di ricercatrici in scienza, tecnologia, matematica e ingegneria che avviavano la propria carriera restava poco sopra il 20% (nello stesso anno in Italia la quota superava ben oltre il 30%). Da studentessa di una facoltà scientifica non posso far altro che sperare che si proceda ancora per questa strada, raggiungendo così la piena parità e uguaglianza, nel frattempo mi circondo di storie e racconti delle donne che hanno fatto la scienza. Sperando di avervi intrattenuto e di avervi fatto conoscere qualche nuova storia, vi invito ad essere sempre curiosi, a scoprire e a vivere in questo mondo governato dalla Natura, dalla chimica e dalla fisica.
Per aspera ad astra